Armi e munizioni per 17.9 miliardi di dollari. E’ quanto speso dagli Stati Uniti d’America nell’ultimo anno per consentire ad Israele di scatenare l’inferno a Gaza, West Bank e Libano ed avviare una pericolosa escalation bellica in Siria, Yemen e contro l’Iran. Il dato emerge da uno studio della Brown University di Providence, Rhode Island.
Dal 7 ottobre 2023 il Pentagono avrebbe sperperato altri 4,9 miliardi di dollari per le operazioni delle forze armate USA nello scacchiere mediorientale. “La maggior parte delle armi che gli Stati Uniti hanno consegnato ad Israele sono sistemi anti-missile, munizioni, proiettili d’artiglieria da 2.000 libbre, bombe anti-bunker e di precisione teleguidate”, riporta lo studio del centro accademico.
Israele è il maggiore destinatario di sistemi bellici statunitensi: dal 1959 ad oggi ha ricevuto da Washington armi e munizioni per 251,2 miliardi di dollari. Secondo il SIPRI, l’autorevole istituto di ricerca sulla pace di Stoccolma, il 69% di tutte le forniture belliche ad Israele nel periodo compreso tra il 2019 e il 2023 sono di provenienza USA. Al secondo posto della assai poco onorevole classifica degli esportatori di armi alle forze armate di Tel Aviv compare la Germania (il 30% delle forniture). Al terzo posto, per il SIPRI, c’è poi il complesso militare-industriale-finanziario italiano, con una percentuale poco al disotto dell’1%.
ARMI ITALIANE
Sommando i dati inclusi nelle relazioni del Governo sulle autorizzazioni concesse al trasferimento all’estero di armi prodotte in Italia, nel quinquennio precedente all’avvio delle operazioni belliche contro la popolazione palestinese (2018-2022), il valore complessivo dell’export ad Israele è stato di 80 milioni di euro. “Tra i sistemi inviati spiccano soprattutto quei 17,5 milioni di euro di autorizzazioni rilasciate nel 2019 nella categoria militare ML2 che comprende bocche da fuoco, obici, cannoni, mortai, armi anticarro, lancia proiettili e lanciafiamme militari”, denuncia l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia. L’ultima relazione dell’Unità per le autorizzazioni di materiale di armamento (Uama) del Ministero degli Esteri riporta che nel 2023 il valore delle armi trasferite a Tel Aviv è stato di 9,9 milioni di euro (munizioni, bombe, siluri, razzi, missili e accessori; aeromobili, apparecchiature elettroniche, software, ecc.), mentre si è registrata l’importazione record in Italia di armi israeliane per 31,5 milioni.
Gravissimi, purtroppo, sono il coinvolgimento e le responsabilità delle aziende e delle banche italiane con il genocidio in atto in Palestina e Libano. Dall’Arms Transfers Database del SIPRI di Stoccolma si evince che nella lista delle maggiori industrie belliche esportatrici di cacciabombardieri, missili, obici e apparecchiature elettroniche ad Israele (periodo 2019-2023), dopo i colossi nordamericani Boeing, General Dynamics, Lockheed Martin e RTX, compare la holding italiana Leonardo SpA, controllata per il 30,2% del pacchetto azionario dal Ministero dell’Economia e delle finanze. La posizione di rilievo attribuita alla società appare ingiustificata se si prendono a riferimento i dati ufficiali sull’export del made in Italy; essi fotografano però solo i trasferimenti diretti ma le più importanti commesse a favore di Israele sono state realizzate da Leonardo grazie alla copertura finanziaria delle autorità governative di Washington e via Stati Uniti d’America.
LEONARDO SPA
Così è accaduto con i sistemi d’arma utilizzati dalle unità della Marina militare israeliana per bombardare ininterrottamente dal 7 ottobre 2023 Gaza e il suo porto. Nell’aprile 2017 il Dipartimento di Stato ha approvato la vendita ad Israele di 13 cannoni navali da 76mm più relativo supporto tecnico. Gli strumenti di morte sono stati ordinati a Leonardo: si tratta dei Super Rapido MF, in grado di sparare fino a 120 colpi al minuto, prodotti negli stabilimenti della controllata OTO Melara di La Spezia. L’ordine ha fruttato al gruppo italiano 440 milioni di dollari (400 per i cannoni e altri 40 per i servizi di supporto, test e manutenzione). Il contratto firmato dal governo USA specificava che i 13 sistemi di guerra sarebbero stati montati a bordo delle corvette appena acquistate da Tel Aviv in Germania.
La “triangolazione” Leonardo-Washington-Israele si è ripetuta il 12 settembre 2024 quando il Dipartimento di Stato ha approvato il finanziamento di una commessa a favore delle forze armate israeliane di un imprecisato numero di semirimorchi M1000 per il trasporto di attrezzature pesanti (HDTT – Heavy Duty Tank Trailers) e relativo equipaggiamento accessorio per un costo stimato di 164,6 milioni di dollari. In questo caso il contraente principale sarà Leonardo DRS, la controllata statunitense della holding italiana che ha quartier generale ad Arlington, Virginia. Si stima che le consegne dei semirimorchi avranno inizio nel 2027. Va ricordato pure che a fine maggio 2024, presso lo stabilimento di Leonardo Helicopters a Filadelfia (Pennsylvania), è stato effettuato il volo inaugurale del primo elicottero AgustaWestland AW-119 “Koala”, destinato all’aeronautica israeliana per la formazione e addestramento dei propri piloti. Nell’ambito del Foreign Military Sale (il programma di assistenza alla sicurezza per facilitare l’acquisto di armi e l’addestramento militare a favore dei governi stranieri alleati), nel dicembre 2019 il governo USA ha sottoscritto con Leonardo un contratto da 67 milioni di dollari per la fornitura ad Israele di 12 elicotteri “Koala”. I velivoli entreranno in servizio presso la Flight Training School della base aerea di Hatzerim, nel deserto del Negev.
NOSTRO EXPORT
Ordini, consegne e uso dei sistemi d’armi di produzione italiana hanno dunque caratterizzato quest’ultimo sanguinosissimo anno. Il governo Meloni ha più volte assicurato che dopo l’esplosione del conflitto a Gaza e West Bank è cessata la fornitura bellica ad Israele, anche se ha dovuto ammettere che ciò non ha riguardato gli ordini firmati prima del 7 ottobre. Dopo la consultazione dei dati dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, la rivista Altreconomia ha avuto modo di accertare che tra il dicembre 2023 e il gennaio 2024 l’Italia ha esportato allo Stato belligerante armi leggere, munizioni e proiettili da guerra per oltre 2 milioni di euro (730.869,5 euro a dicembre e 1.352.675 euro a gennaio). Secondo l’ISTAT nell’ultimo trimestre del 2023 sono stati trasferiti verso Israele prodotti e componentistica aerospaziali – in buona parte utilizzabile per scopi militari – per il valore complessivo di 14,6 milioni di euro. Le esportazioni sono proseguite anche nel corso del primo semestre 2024: il loro ammontare è stato di 5,5 milioni in armi e munizioni e 16,7 milioni in prodotti e componenti aerospaziali.
Anche Leonardo SpA ha dovuto ammettere pubblicamente di aver proseguito in tempi di guerra la propria opera a favore delle forze armate israeliane. A fine settembre ha risposto ad Altreconomia di stare fornendo a Tel Aviv “ricambi e assistenza tecnica da remoto, senza presenza di personale nel Paese, per la riparazione di materiali” per i 30 caccia addestratori M-346 venduti nel 2012 alla Israeli Air Force per la formazione dei piloti poi impiegati alla guida dei cacciabombardieri d’attacco. “Per l’anno 2024 è previsto un valore complessivo di circa 7 milioni di euro per le attività di supporto logistico per la flotta di velivoli da addestramento M-346”, ha concluso Leonardo.
LE BANCHE
Capitolo a parte il ruolo del sistema bancario nel finanziamento della produzione di armi e nella copertura delle esportazioni. Il rapporto pubblicato nel giugno 2024 da 19 organizzazioni non governative internazionali (The companies arming Israel and their financiers) inserisce tra i maggiori investitori in aziende che hanno fornito armi a Israele nel triennio 2021-2023 i gruppi bancari italiani Unicredit (1,236 miliardi in prestiti e 365 milioni in sottoscrizioni) e Intesa Sanpaolo (622 milioni e 35 milioni). Al primo posto della classifica delle banche armate pro-Tel Aviv svetta il gruppo francese BNP Paribas con 5,720 miliardi di attività finanziarie. Dal 2006 BNP controlla l’italiana BNL – Banca Nazionale del Lavoro.
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